
Intervistiamo Salvò D’Antoni, chef palermitano e globetrotter. Profondo conoscitore e innamorato delle materie prime e delle tradizionali procedure gastronomiche palermitane, D’Antoni è mosso da una invincibile voglia di esplorare altri luoghi e altre culture che lo hanno spinto ai quattro angoli del mondo. Cina, Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti, East Coast e West Coast e le varie Regioni italiane.

Quando ha capito che la sua professione sarebbe stata quella dello chef? C’è un episodio che ricorda in particolare?
In realtà sin da piccolo ho avuto la passione per la cucina.
Guardavo mia madre che cucinava con passione. Lei è tuttora molto brava, ma la vera passione mi è stata trasmessa dal nonno, un grande della vera ristorazione siciliana, vecchia guardia, classe 1914. Si chiamava Andrea Lo Iacono.
Lui è stato una persona fondamentale nella mia vita, un modello. Mi ha ispirato ad essere come lui in cucina.
Era molto bravo. Tuttora lo ricordano.

Che cosa le piace di più nel suo lavoro?
Quello che amo di più nel mio lavoro è che mi permette di dare. E vedere i clienti soddisfatti e compiaciuti del piatto che ho realizzato è appagante per me e mi dà molta soddisfazione.

In quale settore della sua professione pensa di essere particolarmente preparato?
Penso di essere abbastanza ferrato con i primi. Ma anche nell’organizzazione della cucina. E nella formazione.

Che cosa può dirci che la rende orgoglioso del suo lavoro?
Certo mi rende orgoglioso constatare i risultati ottenuti con il sacrificio e la determinazione quando decido di realizzare un progetto che ho sposato.

A che cosa deve stare attento uno chef per mantenere alto il suo livello e anche per migliorarsi?
Beh per prima cosa deve stare attento alla squadra che collabora con lui. E ovviamente è importante il posto dove si deve lavorare, il tipo di cliente acui ci si vuole rivolgere, le materie prime che a mio avviso devono e dovrebbero essere di prima qualità. Poi studiare molto. E non abbassare mai la guardia.

Che cosa vorrebbe ancora realizzare?
Nel nostro mondo c’è molta strada da fare.
È soprattutto molto da imparare.
Il mio obiettivo? Mi piacerebbe molto andare in TV. E ovviamente il massimo sarebbe conquistare la mitica stella Michelin.

Che cosa consiglierebbe ad un ragazzo che volesse fare questo lavoro?
Di essere determinato, di viaggiare molto, per imparare e maturare la competenza sia nelle cucine italiane che internazionali.

C’è uno chef, un grande cuoco contemporaneo o del passato che ammira ed a cui si ispira?
Nel passato un grande che purtroppo non ho avuto l’onore di conoscere. Il grande Gualtiero Marchesi.

L’alta cucina può essere alla portata di tutti o richiede necessariamente un alto budget?
L’alta cucina non possiamo dire certo che sia alla portata di tutti. Certamente è rivolta ad un pubblico con una conoscenza diversa dalla cucina tradizionale.
Pure se, per quanto mi riguarda, considero la cucina più semplice sana e nobile, e sempre buona.
L’alta cucina ha bisogno comprensibilmente di un budget alto, per via della qualità e della ricercatezza delle materie prime.

Cosa c’è di buono e cosa non apprezza delle nuove mode in gastronomia?
Mi piace che la cucina sia stata elevata quasi al rango di arte.
Quello che non approvo è lo sfruttamento della cucina di massa e non di qualità. Purtroppo alcuni ristoratori ci chiedono di realizzare una cucina squallida e poco raffinata.

Riesce ad immaginare dopo il sushi e il kebab quali piatti esotici diventeranno popolari in futuro?
In realtà credo che in futuro ci sarà un ritorno della cucina tradizionale. Ne ho la certezza perché vedo una richiesta, un desiderio di cucina tradizionale.
Ma noto, ed io lo faccio tranquillamente, l’invasione di cucine di più etnie gastronomche.
Io nella mia cucina utilizzo un mix di sapori: giapponese, francese, spagnolo e soprattutto arabo. Anche se il mio cavallo di battaglia sono gli “scialatielli ai due sapori” (nella foto sotto, n.d.r.).
